14 nov 2014

TRILOGIA RENZIANA


Raccontare una favola ad un bambino significa creare un meraviglioso contatto con lui, significa aprire un canale di comunicazione con il linguaggio e con le modalità a lui più affini. Intrattenere invece piacevolmente i propri interlocutori con discorsi ben costruiti ma vuoti di concretezza, narrare anche con mezzi transmediali, una storia appositamente selezionata significa persuadere, motivare e quindi creare in costoro desiderio di identificazione, coinvolgimento emotivo e adesione ai propri valori. 

Queste tecniche chiamate anche di "storytelling" perseguono l'obbiettivo di influenzare negli individui la percezione delle cose, dei fatti. Tutti i leaders che si pongono alla guida dei governi di interi paesi e che ovviamente desiderano pilotare l'opinione pubblica e influenzare gli elettori si rivelano degli ottimi "storyteller" politici. Queste persone normalmente le chiamiamo "affabulatori".

Sarà un affabulatore il venditore che presenta alla fiera il suo rivoluzionario prodotto, imbambolando una platea intera con l'epico racconto delle sue potenzialità e vendendolo a decine di persone a caro prezzo. Sarà un affabulatore il candidato sindaco che narra con toni accesi i passati anni di mala amministrazione della sua città (di cui era già vicesindaco),  promettendo un deciso cambio di rotta verso una nuova era di prosperità.

Ma allora gli affabulatori sono degli imbroglioni? Assolutamente no. Sono persone con la capacità preziosa (leadership), di cui pochi possono fregiarsi, di saper comunicare al meglio un concetto, un ideale, un pensiero. Affabulare altro non è che l’arte di saper raccontare, ovvero esporre, in forma corretta e con la giusta modulazione, una favola.

Il problema è che l'affabulatore (leader), il più delle volte, non è un drammaturgo o un attore che dichiaratamente inventa o racconta favole. Le sue fascinose storie appartengono invece ai massimi vertici dell'organizzazione politica  e pretendono di passar per vere. E questo rende l'affabulatore un soggetto piuttosto pericoloso.

Oggi l'affabulazione è al governo del paese. E al vertice risiede l'affabulatore per eccellenza, il prototipo di tutti gli affabulatori del mondo, il caposcuola degli affabulatori. E il bello è che ha un gran seguito tra la gente, ciò che racconta, l'immagine che disegna del paese viene presa per genuina. Che dire, le tecniche dello "storytelling" sono qui state impiegate in maniera sopraffina, in modo eccezionale. Peccato che, secondo un vecchi adagio ormai fuori moda, tra il dire e il fare......




Diceva T.S. Eliot che l'unica saggezza che possiamo sperare di acquistare è quella de l'umiltà.  E' una saggia considerazione del tutto valida per altri tempi ma, in linea di massima, Indiscutibilmente estranea all'attuale contesto sociale. 

Adesso, complice l'onnipresenza della tv nella vita delle persone, quelli che contano, quelli che ci governano, quelli insomma che significativamente influiscono sulle nostre vite sono più interessati ad una prossima uscita in tv, ad una partecipazione a qualche talk show, a qualche reality show sulle reti nazionali o magari ad una puntata nella nuova isola dei famosi piuttosto che dedicarsi a tempo pieno ai destini del paese.

Soprattutto nella gestione della cosa pubblica la modestia e l'umiltà hanno oramai fatto il loro tempo. Al loro posto sono comparse altre connotazioni come la ciarlataneria, la vanagloria, la fanfaronaggine, la disinvoltura, la sfrontatezza, la superbia. E' dunque un gradasso, un belloccio "charmant" con la lingua sciolta, un piazzista che riuscirebbe a vendere ghiaccio agli eschimesi, un comico che non guarda in faccia a nessuno a raggiungere i vertici della struttura politica del paese. Non certamente chi opera nell'interesse dei cittadini senza clamore mediatico ma con riserbo e discrezione.

Sull'onda di mirabolanti promesse il corpo elettorale ha scelto massicciamente chi si vanta di aver compiuto o di poter compiere grandi imprese di cui non è realmente capace. E' rimasto abbacinato dai fuochi artificiali di una eloquenza fanfaronesca, dalle illusioni distribuite a piene mani come fossero uscite da uno spirito acerbo di adolescente.

Il bulletto di Pontassieve è libero di crogiolarsi nella sua vanagloria ma rimane sempre uno smargiasso, un fanfarone, uno che si riconosce per quello che è non appena apre bocca. L'autocompiacimento traboirda dai suoi discorsi e non fa caso al fatto lapalissiano che chi crede di essere giunto al vertice è già sulla strada del declino. E' vicino il momento in cui il nostro personaggio dovrà aggiungere per la prima volta dei fatti alle tante chiacchere. E' vicino il momento in cui il grande bluff volgerà al suo termine.


Alzi la mano chi non s'è mai lasciato cullare dalle onde dolci di un complimento, di un successo, di un apprezzamento. 

Dalla naturale soddisfazione per un risultato positivo è, infatti, facile passare a sogni di gloria, immaginare di possedere capacità uniche, allargare la ruota del pavone pensando a un'aureola di luce attorno a sé.

Quando le persone si illudono di essere al centro del mondo, ecco che si vantano proprio perché non vogliono ammettere di passare inosservate. Fanno propri atteggiamenti snobistici, desiderano la gloria, vogliono che si parli di loro sia in bene che in male. Ma niente come la vanagloria dimostra infine la propria inconsistenza. Il vanaglorioso è obbligato a passare come presenza insignificante o come scrive Shakespeare, quale "un povero commediante che si agita, si pavoneggia per un’ora sul palcoscenico e che poi di lui non se ne sa più nulla".

L'identikit del vanaglorioso mette in luce come, tra tutte le altre cose, egli acquisisca spesso atteggiamenti di superbia, di altezzosità. Si illude miseramente, perchè  è proprio per questo modo di essere che alla fine rischia di diventare, per chi lo frequenta, una patetica figura. In realtà il vanaglorioso vuole farsi credere grande ma non è altro che una bolla di sapone. "La vanagloria è un fiore che mai non porta frutto" dice un antico proverbio. Ma questa perla di saggezza non sembra aver minimamente toccato i "big" della politica nazionale anche perchè di frutti, e parlo evidentemente di quelli che hanno sostanzialmente carattere economico, ne hanno raccolto a piene mani. 

Sopra questo oceano di millanterie, di smargiassate, di ciarlataneria brilla fulgida la stella del nostro premier. D'accordo, l'umanità è variegata e in essa albergano anche gli spacconi  che, a volte, provocano non pochi danni ma la vanagloria rimane pur sempre un difetto che lascia una macchia, più o meno estesa, nell'anima di tutti.

La vita induce l’uomo a cadere nella vanità, intesa come la superficialità dell’ambizione. Se ne deduce che i valori etici non solo non possono sparire, ma danno un minimo di consistenza a ciò che appare inconsistente. E, tanto per finire, vi rimando a una frase del Petrarca che recita "vana è la gloria di chi cerca la fama solo nel luccicare delle parole".

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