18 ott 2014

MI FACCIO IL MONTGOMERY


Sergio Marchionne è conosciuto da tutti non tanto per aver contribuito alla deindustrializzazione dell'Italia o ad aver mandato in soffitta il glorioso marchio FIAT ma soprattutto per l'abbigliamento che questo indomito manager d'oltreoceano abitualmente sfoggia. Il suo "look", perlomeno nella parte visibile, è costituito esclusivamente da tre capi: un vecchio maglioncino blu, un paio di pantaloni stazzonati e un semplice paio di scarpe informali. Marchionne, ovunque sia, chiunque stia frequentando, potentati, capi di stato od operai il suo "look" è sempre lo stesso. Immutabile. Ma allora, quest'uomo ha lanciato con la sua notorietà una nuova filosofia nell'abbigliarsi oppure è lo stereotipo del modo di vestire dei nostri tempi?

In realtà tante abitudini che sembravano consolidate sono ormai scomparse dalla quotidianità. Chi si preoccupa più alla mattina di farsi il nodo della cravatta, dell'accostamento di colori dell'abito con i calzini o della piega pantaloni? E' ancora valida l'usanza quotidiana di curare la lucentezza delle calzature e per il "gentil sesso" di scegliere l'altezza e il tipo di tacco delle proprie scarpe in funzione del vestito che si andava ad indossare? C'è ancora traccia del dubbio amletico tra cintura o bretelle, tra le giacche a doppio petto e quelle aun solo petto, tra i cappotti o i tre quarti sportivi, tra il completo scuro o lo spezzato, tra il tailleur o la gonna pantalone? E che dire delle scarpe "vero cuoio",  dei copricapo "Borsalino" e infine del "look" firmato?

Sembra facciano parte di un altro mondo, retaggio di un recente passato. Fino a non molto tempo fa era inconcepibile se non addirittura una mancanza di rispetto partecipare a paludate riunioni ministeriali ed a importanti conferenze stampa in maniche di camicia colle maniche rimboccate, il colletto slacciato e senza cravatta. E questo, secondo il dettato della globalizzazione, si verifica ovunque nel nostro mondo occidentale. Abbiamo infatti visto in maniche di camicia capi di stato (a partire da Obama), ministri,sottosegretari e politici di ogni rango.

Mai fu più attuale il noto proverbio "l'abito non fa il monaco". Oggi la caratteristica principale del nostro abbigliamento è quella di essere unisex ed è tempo per tutti, uomini e donne più o meno importanti nella società, di jeans, maglioni, giubbotti e onnipresenti scarpe da tennis. Non importa, nessuno si scandalizza se andiamo in giro in ogni ora e e con ogni tempo con comode tute in felpa grigia e giacca a vento di riserva. Praticità, economicità, comodità, uniformità e soprattutto informalità sono le parole d'ordine per l'abbigliamento del nostro tempo.

Ma le vecchie abitudini  non sono del tutto scomparse. Abiti sartoriali, eleganti, o comunque abiti che una volta portavamo nel quotidiano li ritroviamo in ben precise occasioni come i matrimoni, le cresime, le comunioni, i funerali e nei grandi eventi mondani. In queste occasioni i partecipanti si vestono secondo protocolli ben codificati, indossano vere e proprie divise che vogliono mostrare la (vera o finta) categoria sociale di appartenenza.

Un tempo tutti coloro che svolgevano funzioni pubbliche avevano la propria divisa. Risultava immediatamente individuabile il compito che svolgevano, quale ruolo ricoprivano, che responsabilità avevano. Il portalettere indossava una divisa grigia con cappello a visiera e capiente borsone in cuoio, gli scolari della scuola dell'obbligo studiavano con anonimi grembiuli blu o neri con fiocco bianco al collo, gli operai indossavano tute blu personalizzate con il marchio della fabbrica, i bidelli, gli uscieri ministeriali in divisa grigio scuro, i portieri degli stabili (figure ormai scomparse) avevano la loro divisa, e persino i carcerati avevano la loro tenuta uguale per tutti a seconda dell'istituto ove soggiornavano.

Oggi, di tutte  queste divise restano solo le uniformi dei militari e delle persone che svolgono compiti di sicurezza collettiva. I carabinieri, i poliziotti, i soldati con le loro uniformi ci dicono chi sono e con il loro gradi ci fanno capire quale livello di responsabilità hanno. Ma anche per loro oggi spesso viene meno l'obbligo della divisa consentendogli così di operare in incognito e dunque nascostamente.

Ma la divisa o l'uniforme indossata significano che non si può fare a meno di ricoprire fino in fondo e senza tergiversare il proprio ruolo e che non si può evitare di assumere i comportamenti conseguenti. Provate a chiedere ad un vigile urbeno in divisa una qualsiasi informazione sulla viabilità ed egli comunque e sempre vi risponderà. Provate invece a chiedere la medesima informazione a un vigile urbano in borghese ed egli comunque non sentirà nessun obbligo di rispondervi e se non gli va tirerà dritto per la sua strada. E questo principio è sacrosanto per tutti coloro che indossano una divisa o una uniforme.

L'abitudine dunque di vestirsi, sopratutto in sedi pubbliche ma anche nella vita quotidiana secondo il più sfrenato individualismo  senza alcun obbligo verso gli altri nasconde spesso una certa deresponsabilizzazione collettiva. E' come se inconsciamente ciascuno di noi si ritenesse estraneo al contesto generale, come se rifuggisse al dovere di sentirsi parte attiva della società per rifugiarsi nel suo personale universo. Universo che assume così interesse prioritario e comunque posto un gradino al di sopra dell'interesse collettivo.

Personalmente non amo divise e uniformi, mi sono estranee anche se riconosco il loro valore sociale. E poi, in fondo anche io mi sono felicemente uniformato alle tendenze generali dell'abbigliamento e vado in giro comodamente in jeans e giubbotto. Pero.....a dire il vero mi sarei anche un po stufato. Adesso che l'inverno si avvicina mi piacerebbe indossare per tutti giorni qualcosa di "vintage" qualcosa che sia stato simbolo e divisa per molte persone ora non più giovani. Un certo capo abbastanza pesante, sportivo, color cammello e con un largo e comodo cappuccio. Ho deciso, quasi quasi mi faccio il "montgomery".

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