14 dic 2014

COLLASSO NERVOSO

Me tapino. Si, me sventurato, me misero, me meschino. Già perchè nonostante la ferrea determinazione di astenermi da un qualsiasi uso dell'auto durante le ridondanti celebrazioni natalizie nonchè di fine anno, il caso ha disposto diversamente.  E così, non certo in orario antelucano ma comunque di buon mattino per cercare di dribblare gli automobilisti che non amano impugnare il volante in ora di colazione, eccomi qua, incolonnato sulla Portuense. 

E'inutile dire che sono dominato dall'insana volontà di raggiungere il centro della capitale o perlomeno un qualsiasi posto lì nei pressi ove dovrei (il condizionale qui è d'obbligo) trovare parcheggio. L'impresa si rivela subito disperata. Sono circondato da innumerevoli veicoli di media e grossa cilindrata, un fiume di auto incolonnate e immobili i cui guidatori evidentemente condividono il mio stesso obbiettivo. 

Uniti da un comune destino osservo dunque i vicini. La maggior parte è dedita all'esplorazione delle cavità nasali, altri sono impegnati in animate discussioni smartphoniane, qualcuno si diletta con la radio di bordo al massimo volume e infine c'è chi fornisce agli astanti inequivocabili segni di alterazione delle sue facoltà mentali. Per il gentil senso invece il discorso è diverso: con la complicità dello specchietto retrovisore quasi tutte, giovani o no, si dedicano ad un accurato rifacimento del proprio maquillage con analisi finale della dentatura (chissà se prima o poi ne vedrò qualcuna lavarsi i denti o financo provvedere all'igiene personale con salviette detergenti) sfruttando poi la forzata immobilità per ripassare lo smalto alle unghie.

Mi prende un senso di angoscia. Non posso svoltare non posso tornare indietro. A parte il cellulare non ho niente che possa aiutarmi in eventuali difficoltà. Non ho viveri di conforto ne acqua e poi (si sa i liquidi corporei prima o poi debbono essere espulsi) come fare per certe necessità fisiologiche? Non posso certo abbandonare l'auto o scendere a terra per non perdere l'attimo fuggente di avanzare con la colonna di qualche metro perchè in caso contrario il gregge di automobilastri inferociti dietro di me si scatenerebbe con i clakson o anche adottando deprecabili vie di fatto.

Comincio a prendere in considerazione l'eventualità di passare l'intera giornata chiuso dentro l'abitacolo dell'auto e meno male che non soffro di claustrofobia. Tuttavia, metro per metro, trascorso un intervallo temporale di due ore circa per percorrere ventidue chilometri, finalmente io e gli altri forzati del volante raggiungiamo la tanto agognata capitale. E qui la più ardita fantasia si rivelerebbe ben poca cosa di fronte alla realtà del traffico metropolitano che mi si presenta. Un mio amico, tempo fa, mi disse un frase che lì per lì mi fece ridere
"non imparerai mai a bestemmiare davvero finchè non impari a guidare" 
e mai tale affermazione fu più veritiera. Dal parabrezza della mia auto vedo solo macchine che sgommano, moto impazzite, scooter che si lasciano il traffico alle spalle, il tutto in un caos indescrivibile. Guardo e credo di aver imparato sul traffico della capitale due piccole ma utili  verità:

1 - Le abitudini di guida ti vogliono rapido, veloce e scattante
2 - Il codIce stradale viene spesso considerato un "optional".


Ciò premesso il comportamento degli automobilastri locali a volte è del tutto incomprensibile. Per esempio esiste una certa confusione nell'uso del freno e dell'acceleratore oltre a non aver esplorato compiutamente il mondo misterioso della frizione. L'uso poi dei segnalatori direzionali è curioso: il loro lampeggiare indica l'esatto contrario della svolta che l'automobilista intende praticare.

Insomma qui, al posto del codice stradale, vigono ruvide norme non scritte che bandiscono ogni forma di compiacimento e complicità. Occorre saperle adottare. Sulla strada chi è forte ottiene rispetto, ma niente di più. Se lasci passare una macchina, occuperà l'ultimo parcheggio disponibile o procurerà probabilmente un incidente tale da bloccare tutto il traffico per diverse ore.

Si è fatto tardi e decido di parcheggiare. Comincio la ricerca e apprendo subito che, a Roma il concetto di parcheggio è onnicomprensivo: qualsiasi spazio, sia pubblico o privato, sia esso giardino o marciapiede diventa immancabilmente area di parcheggio e come tale viene utilizzato, giorno e notte, feriali o festivi. Nonostante tutto continuo la ricerca ma essa ben presto risulta vana. In tutta Roma non c'è un solo posto macchina libero e non posso fermarmi, sono destinato a muovermi continuamente. Sconsolato prendo la strada delle periferie, passo sotto il grande raccordo e finalmente, nella periferia più estrema, quando i palazzoni popolari di grigio cemento lasciano il posto alla campagna, finalmente mi posso fermare. La ricerca è finita, parcheggio.

E a questo punto faccio quello che avrei dovuto fare fin da stamattina. Compro un abbonamento giornaliero per i mezzi pubblici, salgo su un bus e, finalmente libero, mi dirigo verso la mia meta, in pieno centro. Durante il viaggio mi vengono in mente le parole sempre di quel mio amico che ho citato sopra:
"Eravamo una una famiglia normale fino a quando decidemmo di vivere a Roma. Vivere nella capitale vuol dire davvero affrontare ogni giorno una missione impossibile. Fra scioperi, traffico, parcheggio che non si trova, emergenza rifiuti, allarmi maltempo e persino udienze papali, uscire di casa per andare a lavorare diventa un'attività estrema."
Insomma, per farla breve, in serata riesco ad avviarmi sulla strada di casa. Il viaggio di ritorno procede come quello di andata, con le ormai note difficoltà. Rientro a casa, esausto e sull'orlo di un collasso nervoso, alle 22 circa. Fortunatamente la cena è ancora lì ad spettarmi.

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