17 nov 2014

APPLAUSI & OVAZIONI

"Ma quant'è bravo, che bel discorso, quante belle cose che ha detto!" E giù applausi a strafottere, ovazioni e urletti di gioia. Seguono consensi e adesioni più o meno ragionate alle tesi appena ascoltate. Già perchè noi gli applausi non li lesiniamo a nessuno, e nemmeno le ovazioni. Ci lasciamo trascinare dai bei discorsi soprattutto se hanno a che fare con i nostri problemi quotidiani. Applaudiamo così, tanto per fare allegria, magari per sentirci affratellati gli uni agli altri o semplicemente per fare festa.

L'applauso è diventato uno sport nazionale e lo pratichiamo comunque e dovunque, anche nei casi in cui non se ne sentirebbe alcuna necessità. Lo facciamo per esempio ad un funerale (ma che bisogno c'è di mostrare tripudio in tali tristi occasioni), lo elargiamo sfrontatamente al pilota del nostro aereo dopo un atterraggio (come se avesse fatto una cosa eccezionale e non semplicemente il suo lavoro), procediamo con un un nutrito applauso alla fine di una importante riunione aziendale (non importa quale stronzata sia stata detta o decisa) purchè presenziata da un alto dirigente.

Il grave è che queste manifestazioni di pubblico apprezzamento spesso degenerano in manifestazioni di demenza collettiva. Ci sono  quelli che, nel tentativo di mostrarsi più solerti e in totale spregio al sistema uditivo degli astanti, oltre ad applaudire sbattono ritmicamente i piedi per terra. C'è poi l'insana pratica della "standing ovation" dove, per emulare qualche esagitato esibizionista che invece di frequentare un centro di igiene mentale ritiene di applaudire meglio in posizione eretta, l'intera platea si sente obbligata a procedere con l'acclamazione posizionandosi, in barba alla comodità della propria poltrona, sciaguratamente in piedi.

E che si può dire dell'applausometro? E' sicuramente un infernale attrezzo tecnologico che si propone di misurare l'intensità dell'applauso ma che in realtà ha lo scopo di sollecitare i più svogliati applauditori e a dare all'applauso quel magico attributo che si identifica con l'aggettivo di "scrosciante". Senza poi dimenticare l'aberrante fenomeno della "claque", cioè di coloro che per applaudire a comando sono addirittura pagati. Incredibile.

Ma la voglia di applaudire per una qualsiasi cosa rimane latente. Esiste sottopelle, forse come fatto liberatorio. Così alle solite riunioni di condominio, dopo le fatidiche parole dell'amministratore "per oggi abbiamo finito", vedo che ai presenti gli prudono le mani e che desidererebbero concludere il "brain storming" condominiale, indipendentemente da ciò che si è detto, con un fragoroso applauso. Ovviamente in tal caso escludendo,  per via degli angusti spazi in cui solitamente si tengono queste miserande assemble, una calorosa "standing ovation".

Ma anche nelle funzioni religiose, soprattutto nella messa domenicale, dopo che il celebrante ha pronunciato le parole di rito "andate la messa è finita" i partecipanti a stento si trattengono dall'esplodere in una fragorosa ovazione. Nascondono così le mani in tasca, si guardano furtivi e si chiedono come mai sentono quella strana esigenza di applaudire. 

Insomma, applausi, applausi per tutti, applausi per le nascite, per le morti, per i matrimoni, per le cresime. Applausi per le partite di calcio, per i concerti, per gli spettacoli. Applausi perfino al cuoco per l'ottima cena, per una sfilata di moda, per i leader politici, ministri, sottosegretari e compagnia cantante. 

Si, ma a quando gli applausi per gli esodati, i cassaintegrati, i licenziati, i senza lavoro, i giovani con una o più lauree che bighellonano tutto il giorno cercando lavoro, per i poveracci che stentano a mettere assieme pranzo e cena, per quelli che a cinquant'anni si ritrovano senza pensione e senza stipendio? La domanda è puramente retorica, ma la risposta è decisamente amara: mai.

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